SIBILLINA AMELIA. Alfonso Guida

Amelia Rosselli era lingua di accumulo, accumuli labirintici, pesantezza della parola, significato del suono, lo spirito diabolico della musica abitata. Amelia scriveva seguendo traiettorie tracciate dalla sua ferita-radice schizofrenica. La sua casa (la sua lingua) era piena di muri divisori e i dipinti erano alberi capovolti con le chiome gorgoniche, anguicrinite, sparse nell’aria. L’albero era capovolto come nei quadri di Baselitz, il bosco con la testa all’ingiù, ma era saldo. Salvo scricchiolamenti dell’ultimo momento. L’istante fatale. Lo specchio riflessivo ha sciolto il ghiaccio potente in cui si era raccolto, addensato, e ha fatto precipitare tutto il castello nel profondo delle acque. Alla fine aveva previsto tutto. Sibillina Amelia. Variazioni belliche finisce con una poesia martellantemente anaforica nella cupezza che dichiara: “Tutto il mondo è vedovo”. Amelia era pesante e, come tutti gli aggravati, invidiava i pesi leggeri. Per questo dichiarò di amare la “prosa morbida” di Scipione. Apprezzava la nudità penniana, quella grecità azzurra. Pertanto Amelia non è neoavanguardista: il suo gusto e le sue invidie stilistiche viravano alla tradizione.

Sarei così felice se dicessero di me che ero sabiano. Ma Saba, il maestro di Penna, era semplice, direbbe lui stesso, per costituzione culturale e naturale. Era semplice come il suono garrulo della sua voce di rondine.

Per me l’esperienza della materia ha emesso molta materia molto sangue. La presenza di un eccesso di sangue rende barocco il corpus della lingua. Ora la quiete interiore, che è ripetizione, ha scarnificato la mia parola. Il carnevale della follia è un’invenzione della paura. E la paura ammucchia, sposta, ammucchia.

Georg Baselitz

[…]

Non ci è toccato in sorte un territorio, secondo Deleuze. La radice di Amelia Rosselli è la coda di pavone del suo carcere. L’ultima rima annotata recitava “pavone-prigione”. Un excessus mentis quotidiano. Sensi esteriori potentemente marcati e modellati sui sensi interiori. Le stesse negazioni, gli stessi strappi, le stesse luci serali di lampada, luce arancione come “la melodia di Schubert” (scriveva in Documento), color giallo-tuorlo come la pasta all’uovo di Campignano paese (in Documento). I muri di Amelia, sacrificali e sacrificati, sotto l’incalzare di un continuo crivellamento. La santità della mistica, in questo.

Amelia Rosselli

Alfonso Guida
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