IL DONO DELL’ATTESA. Danila Boggiano

Suggestioni dopo la lettura di Il mese dopo l’ultimo*

Chi aspettare, poi, se il Messia ci venisse infine incontro? La luce è nella sua assenza, la sua presenza sarebbe la porta sbattuta sul desiderio della stanza. Bergotte che muore ci lascia l’obbligo di continuare la ricerca della tenera gialla sfumatura. Tutto è in quel minimo estremo lembo di francobollo racchiuso dentro una busta spiegazzata. Il coraggio di aprire la busta, l’umiltà di sottrarla al suo banale mostrarsi.

Immaginare già nel punto nascosto del suo contenuto, la prima e l’ultima scintilla, il mese dopo l’ultimo, sospeso.

Lì avviene il Messia, e perché accade, non gli appartiene la venuta.

Accadere è prima, o dopo, la venuta, i passi solo dettagli dell’accadere.

Forse il libro empirico di Bruno doveva essere smarrito, perché fosse proclamata nel tempo, e sulle pagine di Marco, la sua preziosità.

Felice sintesi tra titolo-significante e suo senso-significato, alla lampada del piccolo tempo che sottrae, nasconde, fraintende, devia.

Cercare il mare nel rivo d’acqua che sotto la regia cieca di pietre, erbe, correnti, è finito nascosto tra i salici e dialoga con il vento.

Come Kris ed Hermann. Come Marco e Bruno.

Messia, libro, sguardo, racconto, punto magico di confluenza di tutti gli smarrimenti che smentisce lo smarrimento. Sull’altro versante, quello da cui si proviene non è trascurato, ma è messo in salvo.

Chi potrà sottrarci le pietre delle strade infinite che qui hanno portato i nostri passi? E l’aria e l’acqua che quelle pietre hanno sfiorato? E la voce della donna che una sera di mille anni fa cantava mentre quell’aria e quell’acqua danzavano e portava un abito azzurro e nella terra premevano le radici di mille anni prima?

Già quelle pietre esigevano di essere riscritte, il Libro voleva essere riconosciuto, l’aria era il nostro alito.

Messia era la cosa suggerita e il suggeritore.

Accendi il fuoco, è inverno, il fiume ha lasciato ai tuoi piedi qualche piccolo legno, fai splendere l’aria, le pietre, la parete di vento che ti sostiene, il Libro brucia accanto alla sua perdita, brucia la parola e ciò che della pagina bianca ha inteso ritagliare. Ma tu che frughi tra la cenere, e sotto la pioggia ancora allestisci sguardi e movimenti della mano, certo troverai la forma di un nuovo fuoco, i frammenti di ogni smarrimento.

E perché a lungo e tante volte è stato fuoco, il Libro smarrito ti lascia tra le mani tutto l’oro della sua mancanza per essere riscritto, ancora e ancora.

Questo è il modo di mostrarsi del Messia. E del Tempo.

A sera, tra la finestra dell’attesa e l’eco sognata dei passi di chi porta il messaggio del re, dentro la ferita fra il tuo nome e il luogo e tempo altri che lo smentiscono, con dolce prepotenza avvengono incontri, scaturiscono scintille-parole, anche il vetro su cui poggi la fronte brilla.

Anche per te, umile suddito scagliato al margine estremo del francobollo, confuso con la tenerezza della gialla sfumatura, costretto nella stanza di un paese morto, è il dono dell’attesa.

Incisione di Bruno Schulz
Fotografia di Chiara Romanini

*Marco Ercolani, Il mese dopo l’ultimo, Amazon Fulfillment, 2020.

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