
1.
La casa ignota ci spoglia l’uno all’altra, febbrili. Fuori
ombre e sbarre, notte, cecità. Qui terra sempre più calda,
brividi e aria, colori. Mille mani orecchi narici occhi
per entrare angoli e odori, immagini e voci. Un lungo
tortuoso viaggio brucia la cenere e si libera nel fuoco
che già cresce dal basso e una sola fiamma avvampa letto
tempo e soffitto, devasta la difesa delle cose. Nelle pause,
respiro brezza mare e pianure, odori chiari, infinito
tenero al tatto. Ridiamo piano bisbigliando all’orecchio
parole piccole, sollecitando allluci e idee, bassi cespugli
di felci, onde quiete. Ad un tratto, la furiosa foresta, nera
e rossa d’improvvisi roghi, la fatica delle rocce, vertigine
e tempesta, cime ed abissi soli. Ci chiamiamo per nome lassù,
è freddo, un grido come un corpo per non stare aggrappati
al vuoto e cadere schiantati. Ora la casa ci parla affannosa
da tutte le porte crepe specchi serrature. Voci ebbre
di veglie e sonni, soffocate ariose di ritorni e partenze;
nascondimi ed aprimi, entra ed esci, porta tenda
fiinestra e muro, muro porta tenda e finestra e quella polvere
agli angoli prima non c’era e quello strano segno un po’ più chiaro
nei vetri di un’ignota luce?
Qualcuno comincia, lento, a vestirsi.

2.
Con mano irrequieta bussa alla porta e la soglia
cancella i suoi rovi, lontane foglie di passati
autunni. L’attesa è una casa ombrosa dove un lume
qua e là nasconde e trema nei nostri occhi
spaziosi, nell’aria del tuo respiro che si avvicina.
La parete già mostra venature segrete, insospettate
cavità, segni di future finestre. Tende, muri
e soffitti conoscono il loro destino che questa fiamma
tenace e piccola tramuta in brividi e cenere
per guidare i passi nella luce. Vieni, corriamo
corridoi trafelati, asfissiate stanze, angoli bui
di bambole rotte, sirene che insinuano nenie
a chi comprende solo il silenzio: e infine
le scale che volano alte fino al terrazzo sul tumulto
del mare. Là dove tutto sembra aprirsi, arrivare e
risplendere, la sosta è breve e lunga l’attesa
di nuove inquietudini. E sai che devi cominciare
a tornare, ripetere l’oscuro tragitto che sempre
inizia da porte chiuse e frementi, perché la casa
non è mai uguale.

3.
La casa è buia, cancellata dai luoghi.
Silenziosa, chiusa, abbandonata in fretta
o dopo titubanze e lunghe carezze ai mobili,
tanto calda e sensuale nelle notti e respinta
per grandi viaggi ventosi slacciati dai corpi.
Disseccata putrescente o prossima alla luce
in attesa di un nome chiaro, una strada esatta,
volti dai profili toccabili. Risuona
di fiati nascosti, ritmi convulsi o docili
come una grotta cava, i sonni vedono
mari antichi e futuri e poi ancora il vuoto
di passi in fuga o di indugi struggenti, finché
una bufera imprevista la squarcia, spalanca
il tetto, la grondaia e torna pietra affondata.
Polvere che qualcuno raccoglie per farne un altro luogo.

*I testi sono tratti da: Modellandosi voce, Corpo 10, Milano 1991.