
Danila Boggiano pubblica, nel 2021, per le edizioni “Fondazione Giorgio e Lilli Devoto” un libro di poesia, In tenerezza declina il vento, con prefazione di Adriano Sansa. La poesia, come spesso accade, è un mistero che non si rivela facilmente e spesso resiste a una o più letture. Interrogarsi sul senso di un libro poetico può essere vano, anche se occorre farlo per cercare una o più vie che ci conducano al testo.
Qui, la tessitura di un verso lungo, l’andamento narrativo del “poema”, un’atmosfera da “età felice” del genere umano, da utopia che conoscerà poi la sua rovina, guida il lettore a un singolare incantamento intriso di malinconia. I versi perdono il loro peso verbale. Si legge, pagina dopo pagina, senza neppure avere il senso di una forma. Perché, qui, tutto è forma, fluidità, leggerezza. La “nostalgia della pagina bianca” è anche “la luce vaga e l’onda” della parola (“spesso a tradimento / nel bel mezzo di un pensiero chiaro / mi chiamava l’uomo oscuro / quasi felice, sai, andavo / – è solo della terra l’atto del morire –/ ora che tutti sanno / ti lascio alla tua festa / – cosa singolare è la poesia – / ti aspetto / come tornata da una distrazione / alla soglia di pietra o d’aria / che il tempo scava / tra la neve e il sorbo”).
Qui il poeta descrive, ma più che altro crea una sospensione delle cose viste, ricordate, sognate, inventa un terreno delicato, inquieto, sensibile, dove le parole possano scorrere incuranti del senso che raggiungono o sfiorano, attente a un “ultimo sogno / che resta nella stanza / e ancora / oltre il buio di sé / da cosa a cosa / rintocca e danza”. Come scrive Adriano Sansa nella sua prefazione: «Un linguaggio chiaro, pur se costantemente allusivo a una verità fondamentale mai esplicitamente annunciata ma solo avvicinata, perché in sé indicibile e forse innominabile per il mistero che la circonda». Boggiano inventa una struttura fluttuante dove anche la scena più violenta sembra inventarsi la sua armonia: «poi crollò il teatro / quante volte mutò la scena / non c’era una stanza abbastanza chiusa per la sua rappresentazione, / sempre trovava una crepa / il vento / portava forme nuove / scardinava porte, sradicava alberi / accendeva fiori lungo i muri / annegava lune dentro l fontane…».
Una simile poesia, leggera e visionaria, evoca i poemi ininterrotti di Lorenzo Calogero, anche se in un contesto diverso, meno legato al canzoniere d’amore. Far scorrere sintassi, nomi, verbi aggettivi, punteggiatura, in un dettato così fluido da essere imprendibile, convince il lettore non a indagare dei significati mutevoli o improbabili ma ad abbandonarsi all’ipnosi di un dire poematico che ci riporta alla poesia inglese del XIX Secolo (penso a Wordsworth, a un certo Shelley, alle sorelle Brontë) per una sorta di invincibile, favolosa analogia: «porto cose lontane / nel gesto abbandonato / sulla veste di perla l’eco / di un segreto nascosto / in fondo al lago / e qui al margine di me / raccolta / nel desiderio tremo / dell’ultima vela / che l’acqua inquieta / prima della notte». La poesia si chiude con una sospensione del discorso. L’alone simbolista che a volte fluttua nella poesia di Boggiano è spogliato di ogni metafora e allegoria: è una semplice veste che aleggia nell’aria («Si deve avere una mente ventosa / per comprendere le parole del vento»). Questi versi, così appartati e leggeri, spontanei per felicità di artificio, disposti dentro un’architettura già preparata a dissolversi, prepara, per noi lettori, terreni di libertà e di levità che nessuno potrebbe insidiare e da cui molti potrebbero imparare. (M.E.)

**
Antologia
Così la poesia
come case disegnavamo da bambini
tetto a punta sospeso su un quadrato
finestre senza vetri
porte senza serrature
ciuffi d’erba alla soglia
– felicità era sostare –
margherite e viole
dietro la collina il sole,
questo il come
definito e chiaro,
ma tra case e cielo
il volo irrequieto delle cose
il bianco delle domande
smarrite nel silenzio,
tu in qualche punto vivi
e ha senso il tuo respiro
di tutto ciò che sfiori
e subito sfiorisce
*
Il pensiero non è il peso della lana che fili,
la musica, forse, che accompagna il tuo filare
il gioco della luce sul capo chino
la memoria dell’istante d’acqua
sul letto del torrente
dopo che ha raggiunto il mare
l’ombra della domanda nella stanza
quando hai dato tutte le risposte
la nostalgia della pagina bianca
ferita dalle tue sillabe stentate
*
“Quando farò come la rondine
e smetterò di tacere?”
Quali spade sulla bocca incrociate
e dove la pagina smarrita
al punto estremo del suo volo,
sostiamo tra sillabe piane
percorriamo sentieri brevi
nei dintorni della casa
ma abbiamo intenzioni antiche
di gesti chiari tra le mani,
scosteremo le spade
come tende di un sipario
ci sarà un allegro andirivieni
di rondini
cadrà il cielo finto del teatro
*
È forse Omero che muore
muto davanti all’enigma
l’amore
o lo stesso mistero
sotteso alle cose
a volte lo sfiori
lampada del nome svelato
diventi il dio dell’estate
ma se dio è l’oscuro
tutto torna l’enigma
– chi porterà a compimento
l’amore –
se non fosse per quelle farfalle
tenere anime esili scintille
sprigionate da un fuoco
che non vedi e senza tregua
ti accade dentro
chissà se sorridono e danzano
o dolcemente stanno morendo
*
Portami la parola
ripeteva tra i gesti e i passi
e sarai amato
una sola
come iI cielo di febbraio accesa
che la mia trattenga e guardi
solo questo di lei conosco
la luce vaga e l’onda
dimmi una parola
e sarai amato
come la prima stella della sera
è amata dalla notte
e per lei il suo nome muta
ultimo sogno
che resta nella stanza
e ancora
oltre il buio di sé
da cosa a cosa
rintocca e danza
**
Possa
tu che guardi a ritroso
mio angelo nuovo
dagli occhi accigliati
mutare in speranza
il male tra le ali impigliato
resta, non spiccare il volo
o fingi di restare
splende in te la quiete
bianca che abita i morti
guardaci
abbiamo stagioni
e gomitoli di gesti
da sbrogliare
e intenzione di passi
tra le pietre della strada
resta, piangi, ma resta
per la formica
che non calpestiamo
per l’istante di pazienza
strappato alla nostra ira
dolcemente l’abisso risali
avrò ombre pietose
per la tua lucidità spietata
guardami
appenderò lampade
alle sere di novembre
farò un’orchesra del vento
tra l’erba di maggio
abbraccerò le lucciole
imparerò una lingua nuova

**
Danila Boggianoè nata e vive a Sestri Levante. Laureata in Filosofia presso l’Università degli Studi di Genova, ha pubblicato Piccole foglie e sparse (San Marco dei Giustiniani 1997); La pazienza del tempo, (Sabatelli 1999); La tessitrice di vento (Le mani 2004); Amorosi sentieri (Bastogi 2008); Inconsapevole musa (San Marco dei Giustiniani 2010); Sibille (Oltre edizioni, 2020); In tenerezza declina il vento (San Marco dei Giustiniani, 2021).
