Luisella Carretta, Ritratto trasparente di G. (2002)


Forse non ti ho mai detto che, fra i dodici disegni carrettiani che sono appesi alle pareti di casa mia, ce n’è anche uno, di grande formato, che mi ritrae in maniera immaginaria: Ritratto trasparente di G., del 2002. Trasparente in quanto, all’interno di una sagoma appena delineata, contiene un mio frammento manoscritto e parte di una pagina a stampa dal libro Percorsi anomali. Te lo invio in allegato (totale e dettaglio): sono due foto non scattate da me ma scaricate, anni fa, dal sito di Luisella.
G.Z. (da una lettera a M.E.)
«…Nelle parole di Michaux si avverte la “compassione” (nel senso etimologico del termine) con cui, da sempre, egli guarda alla condizione del folle, in cui vede un altro se stesso potenziale, da osservare e studiare per capirne l’esperienza. Il malato psichico che disegna non è per lui un individuo che, nonostante la posizione svantaggiata in cui si trova, riesce bene o male a manifestarsi attraverso le immagini, come se fosse un artista sano di mente; tutto all’opposto, è quest’ultimo che, proprio come il malato, trova la via dell’espressione pittorica per cercare di supplire a qualche carenza o instabilità interiore. Michaux non intende ovviamente riproporre l’assurda equazione tra artista e folle, ma si sforza di non rimuovere dalla coscienza l’idea che queste due figure possano, nonostante tutto ciò che le differenzia, avere dei tratti in comune. Anzi, se per tutti è importante essere consapevoli che la malattia appartiene da sempre alle virtualità intrinseche della psiche, sarebbe particolarmente grave ed esiziale per l’artista voler tener celata la zona oscura della mente. È ciò che Michaux afferma in Tranches de savoir, con una formula memorabile, che in un certo modo riassume tutto il suo discorso in materia: “Chi nasconde il proprio folle, muore senza voce”».
Da Figure della follia, in: Giuseppe Zuccarino, Percorsi anomali, Campanotto, 2002.