PAROLE IN CAMMINO

30 aprile-20 novembre 2022

L’Art Brut nella collezione Giacosa-Ferraiuolo

SIC12 Art Studio, Via Francesco Negri 65. Prenotare la visita su http://www.sic12.org

Gustavo Giacosa e Fausto Ferraiuolo

Parole in cammino. Verso quale cammino? Saperlo chiuderebbe ogni strada. Qui, invece, grazie all’Art brut della collezione Giacosa-Ferraiuolo, si apre una mostra, audace e molteplice, di parole e di segni. È Henri Michaux che, con la sua spavalda indipendenza di pensiero, ci avvicina alla verità errabonda dell’immagine e della parola: «Uno scrittore è un uomo che sa mantenere il contatto, che sa restare unito al proprio turbamento, alla zona viziata e mai placata di se stesso. È lei a portarlo». E quando Michaux dice “scrittore” si riferisce all’artista tout court che lui stesso è stato – poeta, incisore, pittore, che utilizza scrittura e pittura come nervoso journal interiore, come inarrestabile navigazione all’interno di se stessi a stento contenuta nella forma di libro o nei segni di un quadro. «Scrivo per percorrermi. Dipingere, comporre, scrivere: percorrermi. In ciò sta l’avventura dell’essere vivi» commenta. E Osip Mandel’štam consiglia: «Distruggete i manoscritti, ma conservate ciò che avete tracciato a margine, per noia, per disperazione e come in sogno», Quella scrittura “tracciata a margine” segnalata dal poeta russo, svincolata dalle convenzioni, sospesa tra estrosità del segno e imprevedibilità del senso, appartiene alle scritture non canoniche, che non vogliono essere definite come romanzi, racconti, raccolte poetiche. Sono “scritture-schizzo”, “parole in cammino” dove l’artista prova i suoi sogni, abbozza i suoi disegni, fantastica i suoi quadri, sia che vengano dall’arte visibile della contemporaneità come dall’arte “invisibile” degli esclusi: scritture come capriccioso, rapsodico, interminabile frammento, dentro il quale lavorare ai segni del proprio journal intime, come accade in questa mostra, Parole in cammino, dove lettere, disegni, fotografie, abiti, pittogrammi, alfabeti, si incrociano e si corrispondono, da Anonimo francese a Babylone, da Anibal Bizuela a Dottor B, da Giovanni Bosco a Johan Fischer, da Jill Galieni a Profeta Gentileza, da Garrol Gayden a Joseph Lambert, da Massimiliano Moroni a Michel Nedjar, da Oreste Fernando Nannetti a David Parsons, da Melina Riccio a Profeta Royal Robertson, da James Rosa a Ricardo Sevieri, da Dominique Théate a Carlo Zinelli. Qual è il limite esatto dove sconfina il segno e dove finisce la parola? Il concetto di “scrittura” si lega sempre all’intimità, e all’oscenità, della traccia.

Anonimo francese
Giovanni Bosco

In questa mostra gli esempi umani si moltiplicano. C’è chi, con un cartone e un pezzo di carbone, graffia gli interstizi dei muri con una scrittura verticale e serrata, simile alle tavole coraniche. Chi, da mendicante, espone rivoltosi manifesti sgrammaticati scritti su carta da recupero che poi getta nei cassonetti. Chi realizza disegni a biro su carte ritrovate o scatole di medicinali, componendo ami, croci, bare, teste, siringhe. Chi dipinge sui muri delle case ovali rossi e cuori, popolando il suo paese natale di colori accesi e simboli nuovi. Chi scrive lettere comprensibili solo nelle prime tre righe, e che nelle fasi successive si trasformano in linee ondulate, offuscate. Chi disegna animali e persone prima con matite nere e colorate e poi con colori sempre più vivi. Chi non sopporta le frasi che lei stessa scrive e allora disegna le frasi di una preghiera interminabile, dove la calligrafia si intreccia a motivi astratti. Chi, dopo un disastro, sente voci che lo costringono a una nuova missione sulla terra e dipinge/scrive sui cinquantasei pilastri di un viadotto. Chi decide di scrivere la storia della sua vita sovrapponendo le parole come masse di segni scritti in una lingua indecifrabile. Chi scrive solo le cose che vede presso uno storico parco di divertimenti. Chi trascrive nomi di quartieri, province, città, in forme e formati diversi. Chi crea bambole-feticcio su supporti di recupero, ritraendo cadaveri bruciati e corpi mutilati, ed entra nella storia dell’arte sia come artista che come ricercatore di Art Brut. Chi, con la fibbia della cintura, recluso a vita in un manicomio, incide deliri surreali e racconti fantascientifici sulle sue mura. Chi, non vedente, guida le dita sul foglio grazie all’altra mano e inventa campi di nebbia e di fumo che evocano alfabeti arcaici. Chi disegna e scrive, da nomade, con grafia minuta, messaggi di pace e di fratellanza in rima su bidoni e tralicci, e poi su abiti e ricami. Chi si arma di pennelli indelebili, matite colorate e penne a sfera per dipingere su cartelloni enormi formule numerologiche e visioni apocalittiche. Chi rielabora oggetti quotidiani in forme astratte e lettere alfabetiche. Chi traduce i suoi pensieri in simboli che hanno l’apparenza di spartiti musicali. Chi disegna gallerie di personaggi che ribaltano i codici dei fumetti. Chi realizza asini e pinocchi, o persone con piedi, braccia e sessi stilizzati e ripetuti.

Anibal Brizuela

Dottor B

Oreste Ferdinando Nannetti
Giovanni Bosco
Profeta Gentileza
David Parsons
Ricardo Sevieri
Joseph Lambert

Massimiliano Moroni

Parole e segni sono gesti di improvvisazione, di confidenza improvvisa, una fantasticheria, un’architettura utopica. L’artista vaga nomade nei suoi progetti, nei suoi personali deserti. Scrive, si confessa, disegna ovunque, si confida, prende fogli per segnare parole, fogli per parlare disegni, o simulacri di fogli. Ne nasce una scrittura segnica, a volte asemica, elastica, naturalmente poetica, frammentaria come diario di bordo e appunto di viaggio, testimonianza alienata e disforme.

L’arte contemporanea del Novecento, e con essa anche gli esempi di Art brut di questa collezione. è miniera di un pensiero eretico, rizomatico, che inventa strade altre e rifiuta semplificanti soluzioni per nutrirsi di anomale complessità. Ogni artista lavora a un suo personale libro, favoloso e interminabile, che incide nel segreto della mente, nella superficie della tela, nelle pagine del libro, sulle mura del manicomio, per provare la massima gioia da quella capricciosa, aspra bellezza. Ha ragione Artaud (che di disegni demonici e di glossolalie ha infittito le pagine dei suoi interminabili taccuini, l’ultimo finisce con la parola “etcetera”), quando, nel suo Van Gogh. Il suicidato della società, enuncia questo semplice auspicio: «Che la vita diventi un giorno bella quanto una semplice tela di Van Gogh e per me basterà. E non penso che si possa avere niente di più da augurarsi». La follia di Vincent diventa il seme naturale di una diversità felice e inarrestabile, dove nuove “parole in cammino” ci faranno sempre perdere e ritrovare la strada.

Come scrive il curatore Gustavo Giacosa «La nuova mostra Parole in cammino vuole evidenziare la relazione tra il segno grafico e la dimensione errante del camminare, e nel contempo indagare altre forme di scrittura, realizzate in solitudine, ma su formati intimi come le pagine di un quaderno o fogli di carta. Queste ultime, opere e documenti, sono all’origine della nozione di “scritti brut” creata dallo storico dell’arte svizzero Michel Thevoz nel 1978. Tali produzioni sono caratterizzate dalla convivenza caotica di parole e immagini che rispondono a un ordine interno e misterioso, o da una forma ibrida che trasmuta una forma scritta in un’immagine. Perché, come dice Michel Thévoz, nel suo libro Les écrits brut. Le langage de la rupture (Gli scritti brut. Un linguaggio di rottura): “Non si scrive solo per formulare idee (…) si scrive anche talvolta, e in un senso completamente diverso, per liberarsi, per avventurarsi fuori dalla sfera personale in uno spazio immaginativo dove i poli di mittente e di destinatario del linguaggio si annullano”».

(M.E.)

Carlo Zinelli
Melina Riccio

Michel Nedjar
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