AUTOREVERSE. Luciano Neri

Tic Edizioni, 2022

Autoreverse non è un libro composto da poesie comodamente leggibili. È una scomoda partitura in prosa, suddivisa in cinque tempi musicali: Uno (Landslides), Due (L’assunto), Tre (Accaduto/Il non pensante), Quattro (Autoreverse), Cinque (REW-FFWD). La storia è un tema fisso, musicalmente un basso ostinato. Racconta, in modi onirici, di un uomo testimone dell’assedio a un palazzo d’inverno, a Berlino, forse ad Alexanderplatz, ostacolato da un altro uomo, Reed, suo riflesso e suo doppio, che gli impedisce di seguire il filmato di questo assedio. La storia, che non si svolge in tempi attuali, è un’occasione onirica perché il meccanismo del poema narrativo si metta in movimento, definendo così le sue strutture spaziali e linguistiche. Il meccanismo è l’autoreverse del magnetofono, è un voler mostrare il lato A e il lato B del nastro registrato, ma simultaneamente, nel susseguirsi delle frasi. Questo procedimento scompone il poema in fotogrammi ipnotici e spettrali che mostrano le cinque variazioni del tema. Il lettore non ha il compito di “comprendere” la strategia mentale e antilirica di questa scrittura ma quello di abbandonarsi alla sequenza inventata dall’autore con magnetismi stilistici che evocano la poesia sperimentale di Helmut Heissenbuttel, le prime composizioni del Boulez di Darmstadt, i cortometraggi di Jean-Marie Straub. La copertina stilizzata, con il design dalla voluta semplicità infantile, è evocativa. Le due bandelle di copertina riportano i dati del libro e la nota biografica dell’autore senza appesantire la purezza del disegno quasi naif. Un libro, in sintesi, che sospinge il lettore a considerare la poesia come atto speculativo, del quale già ci parlavano Schlegel e Novalis nelle pagine dell’”Athenaum”. Un libro il cui stile, in apparenza oggettivo, slontanante, impassibile, è fin dall’inizio materia visionaria, refrain ipnotico e ripetitivo della storia che, fotogramma dopo fotogramma, compone, scompone, dissolve il poema. (M.E.)

Da Uno (Landslides)

La notte dopo e quella prima, il tubo a serpentina

con gli oblò senza regolare nitidezza, lo scivolo a

spirale e il ponte sospeso in uno sfondo illimitiato,

il campetto in erba sintetica entro le linee bian-

che di gesso, la torretta merlata, l’esplorazione del

boschetto senza un movinento di foglie precedente

o uno di rami successivo, con in più dei fatti di cui

non si era acoorto il presente nel soogno durante la

guiornata al parco del castello: di fronte a un palazzo

d’inverno guardava un uomo l’inizio di un assalto e

impediva di seguire le riprese dell’evento a un altro

fino al diradarsi della folla, indietro fino a una piazza

vuota – la goccia d’acqua di nome Reed di un altro

uomo

[…]

Di notte ho sognato come segue, lo scivolo a spirale

senza regolare nitidezza, il tubo a serpentina con

gli oblò, il ponte sospeso in uno sfondo illimitato,

il campetto in erba sintetica e la torre merlata

senza un movimento di foglie precedente, le linee

di gesso del campo appena rifatte, l’esplorazione del

boschetto senza un vento sui rami successivo – due

volte almeno il ponte sospeso, lo sciolo a spirale

e l’esplorazione del boschetto, le linee bianche del

fuori di campo di gesso sullo sfondo, difficili e illimitati

senza regolare nitidezza – con in più dei fatti di cui

la mia presenza non si era accorta durante la giornata

al parco del castello: di fronte al palazzo d’inverno un

uomo è testimone dell’inizio dell’assalto e un altro gli

impedisce di seguire le riprese dell’evento e lo spin-

torna fino al diradarsi della folla. Fino a una piazza che

sta svuotando – una vera e propria goccia d’acqua

che si è scoperto e che si chiama Reed, l’uomo per

l’altro che si riconosce e che un po’ gli somiglia.

Luciano Neri
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