di Caterina Galizia

Caro Marco,
guarda quali “battaglie de’ cavagli” o “fantastiche città” ho cavato da questo testo che conoscevo da tempo ma non nella versione odierna. Dico odierna in quanto potrebbe non essere quella di domani e mai e poi mai quella definitiva. Il concetto di immutabilità, infatti, è incompatibile con quanto l’autore pretende da una scrittura che lo rappresenti.
Il suo è un dire in divenire perenne, di difficile decodifica. L’unico aiuto possono darlo le costanti che, in una militanza di alcuni decenni, abbiamo individuato. Esse si rincorrono così come accade per i temi delle grandi composizioni polifoniche e vanno inseguiti nel loro comparire e scomparire all’interno delle singole voci.
Se osserviamo in sequenza le sei facce del cubo, vediamo come le due iniziali ci consentano un’esperienza quasi concreta di quell’ irraggiungibile che abbiamo tante volte incontrato nei versi di questo autore. Faccio qualche esempio preso da Le poesie e da Imago show: la cosa arretra davanti a chi la guarda e non partecipa di quello che ha acceso nei suoi occhi; l’indicibile, da parte sua, è il grande rimpianto del linguaggio che sa di non poterlo raggiungere senza lasciarci le penne; è il vuoto che vince (è l’assenza quella che “non va via”) e contemporaneamente dà senso al pieno (ogni piccola cosa la fa grande il suo vuoto) e potrei continuare a lungo. Qui, nel primo testo giganteggiano le groppe che ci galoppano davanti seminando relitti (“promesse dei sette cieli”) mentre nel secondo ci prende il capogiro: manca una parete. E’ stata tolta al cubo delle delizie che ne è rimasto accecato. Fughe, quindi, sottrazioni ed incontri mancati.
La terza faccia propone versi dal senso più sottile. Qui l’incontro c’è stato ma è quello tra l’amo e la bocca del pesce “ombra d’argento”: rimanda ad una violenza e alle sue ragioni. Il tema riconoscibile è l’assenza di giudizio. Nessuna pena, nessuna riabilitazione né cura. La valutazione è sospesa. Valgono le “buone intenzioni” dell’amo e anche della trota che, si suppone, accetti “con la scusa di esser viva”.
Ma le cose potrebbero andare diversamente. Come spesso avviene nei suoi scritti, Lumelli prospetta in contemporanea più possibilità di sviluppo. La seconda la troviamo abbinata alla faccia quattro dove le
“palpebre si chiusero” e “l’acqua scomparve per amore della sete”. Come non vedere un intento salvifico in questo sacrificio? Qualcosa, quindi, non c’è più e chi rimane è “ridotto ad esistere”, E ’l’ora di chiedere perdono, l’ora della “disunione che più ama”. Qui il sistema lumelliano collassa. Il movimento perenne, il fluire del pensiero in un tempo che Milli Graffi aveva definito “elastico” in quanto impossibilitato ad appartenere ad un preciso momento o ad una determinata realtà, si blocca davanti alla evidenza straziante del “mai più”. Ricordate in Pause: “mi saria tant cuntent at vedet ancou na vota”? E’ “il contatto che si oscura” e nel contempo “si ritrae”. Il ricordo perde colpi tentando una ricostruzione (“fino al buco degli orecchini”), ma non puo’ competere con la percezione. La vicinanza è “a brandelli”.
Alla fine del suo ultimo libro, Le poesie, nell’ultima pagina di “la porta girevole dell’hotel excelsior” Angelo ci (o si) fa una domanda; “il limite del linguaggio è l’esistenza?” Sono proprio versi come quelli che abbiamo letto assieme che sempre più mi convincono della quasi ovvietà della risposta: “ebbene si. L’unico limite possibile del linguaggio è l’esistenza”.
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1.
scappa di corsa mandria di cose
groppe di bisonti invano
corrono impronte
dubitano silenziosi relitti
promesse dei sette cieli
2.
manca la parete verso strada
il muro di fondo è color pisello
uno scolapasta è ancora appeso
finito è il cubo delle delizie
la salvezza del quarto lato
3.
nessuno pensa
alle buone intenzioni dell’amo
alla concordia
con la bocca del pesce
volentieri si traveste l’amore
ombra d’argento nell’acqua
naviga la trota primitiva
nubile senso di nessuno
con la scusa d’esser viva
4.
stringere dilatare le pupille
fintanto che il cielo sarà viola
allora apparirà lo zafferano
sempre sotto pressione è la verità
giurano il falso pie figure
palpebre si chiusero
e avvenne un’altra cosa
l’acqua scomparve
per amore della sete
5.
in una scatola da scarpe
ci sono cartoline e foto in posa
ridotto ad esistere sta zitto
il chicchirichì dell’apparire
è l’ora di chiedere perdono
disunione che più ama
ombra che si allunga
nostra deposizione
6.
sempre si ritrae
il contatto che si oscura
vicinanza a brandelli
più amata figura
sempre ricomposta
nell’istante che fu vista
punto per punto
fino al buco degli orecchini
cotemporaneo amore
nell’intermittenza che si affida
se ancora ti avvicini
Angelo Lumelli
