
Storie, forse incubi. 71 racconti
Foto in copertina di Chiara Romanini
Il Canneto editore, 2021
Premessa
Questi racconti mi sono accaduti dal 1990 a oggi, e nel
corso degli anni ne ho solo prosciugato e affinato la forma,
mantenendo neutro il tono del linguaggio. Invenzioni, cronache, visioni, confessioni – fatti atroci di cui esseri fragili sono
autori o vittime. Sempre di più, con il passare del tempo, ho
sospeso ogni giudizio su queste storie, equiparandole a incubi
che con la vita si incrociano più spesso di quanto pensiamo
e che lo scrittore ha il diritto, se non il dovere, di rappresentare. Questo libro è l’ennesima variazione della mia personale opera al nero – dove le emozioni non devono restare nell’inferno dell’inespresso ma scaturire rigorose sulla scena del foglio. Se l’“estetica notturna” delle mie storie evoca la vicinanza della follia, la loro rappresentazione in libro è il
legame con le ragioni di una salute minacciata ma viva.
**
I giorni di Annecy
Più lo guardavo, più tutto mi sembrava definitivamente strano.
I giorni passavano e Arthur non cresceva.
Non diventava, come noi, un adolescente.
Restava ragazzo.
Anzi, tornava impercettibilmente bambino.
A maggio era alto un metro e 63 centimetri. A ottobre 1 metro e 55 centimetri. Così diceva la tacca
sul muro, nel grande soggiorno della villa. In quattro
mesi era diminuito di otto centimetri, mentre noi crescevamo come dei ragazzi normali.
Cosa sarebbe accaduto, di Arthur, fra dieci anni?
Noi saremmo diventati giovani uomini e lui sarebbe tornato bambino, poi neonato. Lo scorrere del tempo lo avrebbe reso un alieno.
Arthur era il mio migliore amico: non avrei permesso che accadesse. A una gita al lago di Annecy, in cui festeggiavamo insieme il nostro diciassettesimo anno, lo annegai volontariamente, liberandolo da un destino mostruoso. Ricordo che appena muoveva il collo, sotto il livello dell’acqua, ma senza uno spasimo, proprio come un bambino. Sembrava ringraziarmi.
**
Graffio insignificante
Lei comprende, caporale, che non posso, in nome di qualche inopportuna misericordia, difendere la Sua opinione. Se anche sapessi che quei due neonati, ad Auschwitz, sono stati uccisi con un colpo alla nuca perché
l’autopsia dei loro corpi potesse fornirci nuove scoperte genetiche, anche se ammettessi che la morte di un nano potrebbe essere un metodo efficacissimo di eutanasia razziale, io mi domando come Lei non si sia accorto che il Reich ha disintegrato in pochissimi anni, assieme a
qualche gene anomalo, milioni di geni sani, distruggendo le risorse dell’umanità per almeno un secolo.
Mi perdoni, caporale, io non ne faccio una questione personale. Potrei anche incontrarla a Monaco, come lei vuole, e parlare con Lei. Ma credo che le nostre idee siano molto diverse. E credo che arriverà un giorno in
cui Lei avrà perfettamente ragione e quel giorno saranno così numerosi i genocidi su questo pianeta che sarà irrilevante ricordarli con patetiche lettere umanistiche.
Ma poiché non siamo ancor arrivati a quel giorno mi permetto di dire NO a uno Stato che separa i vivi dai vivi secondo regole discutibili e bizzarre – regole che domani potrebbero cambiare se cambiassero le idee di
una Commissione o di un Partito. E a Lei, caporale, se fra due settimane o un mese le succedesse di graffiarsi l’avambraccio destro con un coltello da cucina, è proprio sicuro che non finirebbe arrestato e deportato in quel certo lager, assieme a migliaia di individui che hanno subìto
come lei, un graffio nello stesso punto, un profondo, insignificante graffio di coltello sull’avambraccio destro.
**
Parola di Derek
Parola di Derek. Gli ho tenuto il collo premuto, sì, per 8 minuti, forse di più. Tutte le scuole di polizia lo insegnano. Se c’è una sommossa, blocca il rivoltoso, bianco, nero, giallo che sia, e premigli il collo. Non ti fidare
se dice che soffoca. Tienilo fermo. Poi tutto tornerà a posto. Io ho fatto così, capo. E adesso quand’è che le cose torneranno a posto? Sì, mi diceva che soffocava, ma lo dicono tutti «soffoco, soffoco…», per poi divincolarsi e piantarti una coltellata nel ventre. Io non voglio essere pugnalato da nessuno – asiatico, negro, bianco, haitiano, sordomuto, pazzo. Parola di Derek. Cosa ne sapevo di quel povero George Floyd.