a Marco Ercolani

Non mi riposo. E mi vedo, assente, al di qua
del connubio. Vivo in un paese pieno
di arature e raccolti, senza ponti.
Se ti portassi qui, molto del dramma
capiresti. Sì, lumi di vecchiaia,
tra visioni rarefatte e solcate
da astuzie giovanili e nullità
grottesche. Vorrei in queste vie bruciasse
di bianco acciaio e di araucarie vive
l’igiene dei matti, il modo composto
dii stare seduti e intrecciarsi a coppa le mani.
Le panchine, lo stupore
chiassoso dei vetri (ma umano e cieco),
l’ansia di Proteo che prendeva, a brividi,
gli sguardi muti nei corridoi del CIM.
Questo vorrei, angustiando quel lontano
stratagemma di statue e sangue che arde
tra le regole di una pietà senza
domande e l’urlo che schiaccia la mente.
Sì, lumi di vecchiaia, Marco, piccole
penombre rischiarate tra i quaderni
del carcere e un altrove
incomprensibile.

