
Il paesaggio allo stato di creazione, non antropizzato, cioè la natura di per sé, così leopardianamente indifferente alle vicende umane, non mi coinvolge come tematica per la fotografia. Sono invece interessato alle immagini di interni, dove la presenza dell’uomo e del suo vissuto traspare dagli oggetti, che sono parte del suo habitat e prodotto della sua mano creativa.
Sono visceralmente interessato alla foto di ritratto, alla restituzione delle variegate fisiognomiche dalle quali cerco di far emergere caratteri e sentimenti, così come le espressioni che mi paiono più inusuali, magari ignote anche allo stesso ritrattato.
Prediligo la tematica femminile, perché questo è il soggetto che per quanto si pensi di averlo chiaro, resterà sempre insondabile, col suo inestricabile mix di irrazionalità e sentimento, inesplorato nelle sue profondità, irraggiungibile nelle sue altezze.
Nessuna modella si riconosce in toto nelle mie foto, e forse da questo è la sua gratitudine, per averle offerto immagini inusuali del ‘sé’ che la macchina fotografica ha registrato in quel brevissimo irripetibile istante della sua vita, il cui scorrere inesorabile ci illudiamo di inchiodare nel momento in cui lo restituiamo al ricordo di esserci stati.
(F.Z.)
Guardando i ritratti femminili di Fabrizio Zollo, si resta sconcertati. Le fotografie sono come immerse in una doppia bellezza: quella della loro forma e quella del loro contenuto. Difficile non restare ammirati dalla qualità della rappresentazione visiva: perfette immagini in bianco e nero realizzate nello studio pistoiese di via Vitoni (l’antica Via del Vento), con la luce naturale che proviene soltanto dalle finestre dello studio di Zollo; e le modelle, raffigurate in pose ed espressioni diverse, fissate nella loro sprezzante, definitiva giovinezza. E’ come, da spettatori, subire il fascino erotico dell’attimo assoluto. Nulla esiste prima e nulla esiste dopo. Solo quel volto, in quell’attimo. Si deve sospendere qualsiasi pensiero, qualsiasi discorso. E ammirare la vita della bellezza femminile, che sfida lo spettatore con la sua perentoria, delicata immortalità. Lo spettatore trattiene il fiato. Si chiede cosa accade, come quando l’amante si sente felice e prossimo alla morte nell’estasi amorosa. Questi volti perfetti e risoluti, smarriti in impenetrabili pensieri, ci guardano con gentile, sfrontata fermezza, testimoni inconsapevoli di un altrove irripetibile e di una sensuale presenza. Li definirei, questi ritratti, irruzioni di bellezza.
(M.E.)






