
Luisella Carretta è un’artista singolare, che ama esplorare territori di confine, muoversi sul crinale che separa l’arte dalla natura, o dalla scienza. Le sue esperienze sono sempre, nel contempo, temerarie ed intime: può capitarle di rimanere a lungo nel deserto messicano, nelle foreste canadesi, oppure nelle distese ghiacciate dell’Islanda, ma non con l’intento di sottoporsi a prove fisiche estreme o di intervenire sul paesaggio per segnarlo o modificarlo in modo durevole. Se anche le accade talvolta di realizzare, in questi o altri scenari variamente esotici (l’India, il Nepal, l’Africa, la Patagonia) delle performances o delle installazioni, si tratta perlopiù di azioni minime, non preordinate o organizzate, offerte alle poche persone ignare che si trovino a passare di lì o addirittura a nessuno. Che cosa resta, allora, di tutto ciò? Resta per lei un’emozione, un ricordo, e per noi una traccia ad un tempo esile e molteplice, in qualche caso fissata nella forma del libro. Nascono così vari volumi, di cui i più recenti sono stati pubblicati dall’editore Campanotto di Udine: Dove le pietre volano. Islanda (1999) e In volo con le api (2000).
Si tratta di opere inconsuete anche per la forma, nelle quali si alternano brani di diario scritti sul posto, annotazioni in corsivo aggiunte a posteriori, note scientifiche, fotografie, disegni e persino brevi testi che assumono l’andamento di poesie ma sono in realtà la trascrizione di quelle frasi a penna, non sempre agevolmente leggibili, che compaiono nelle opere grafiche dell’autrice. Luisella Carretta, infatti, concepisce il disegno e la chirografia come due pratiche strettamente associate, che per una sorta di attrazione magnetica tendono ad unirsi e intrecciarsi fra loro.
Il primo dei libri citati, come suggerisce il titolo, riferisce di un soggiorno in Islanda. Non si tratta di un viaggio turistico, bensì di una sorta di spedizione speleologica a cui l’artista ha avuto la possibilità di aggregarsi quale «osservatrice». Il termine in questo caso acquista tutta la sua pregnanza, poiché Carretta si dimostra estremamente attenta ai panorami, ai colori e alle presenze umane o animali. Nella maggior parte del viaggio, però, essendo i luoghi visitati di tipo desertico, gli incontri costituiscono un evento assai raro, e anche le tinte si riducono spesso al nero della lava divenuta pietra o cenere (l’Islanda, di origini vulcaniche, ha molti crateri ancora attivi) e al bianco della neve o del ghiaccio. «Qui – ricorda l’autrice – erano venuti ad allenarsi, per imparare a camminare su un terreno simile al suolo lunare, gli astronauti americani dell’Apollo 11 mentre si preparavano alla prima spedizione sulla luna. […] Qui non sembra di essere sulla terra, ma su un altro pianeta». Una natura così sorprendente e contraddittoria (al punto che è possibile fare il bagno in una cavità di roccia piena d’acqua calda pur trovandosi nelle vicinanze di un ghiacciaio) agisce con forza e positivamente sull’immaginazione dell’artista, che a volte compie piccoli interventi sul (o azioni nel) paesaggio, spesso in completa solitudine, oppure disegna all’aperto su grandi fogli, a dispetto del vento e della pioggia sottile.
Ma se un’idea degli scenari islandesi possiamo averla guardando le foto riprodotte nel volume, gli esiti delle diverse attività artistiche di Luisella Carretta dobbiamo immaginarceli a partire dai pochi pregevoli disegni inclusi nel volume e da alcuni passaggi del testo, che appaiono assai vaghi, quasi vi fosse da parte dell’autrice una sorta di ritrosia a mostrare e descrivere segni e gesti che acquistavano pienamente il loro senso solo in quanto eseguiti in quel particolare luogo e momento. L’artista preferisce narrarci le giornate trascorse da sola in tenda a prendere appunti, o a leggere Viaggio al centro della Terra di Verne, libro rivelatosi in perfetta sintonia con i luoghi visti, anche a prescindere dal fatto che le è capitato in qualche occasione di azzardarsi ad entrare, assieme ai suoi compagni speleologi, nei cunicoli sotterranei. Tuttavia, come già si è detto, non sono le prodezze atletiche ad interessarla, e i suoi rapporti con gli altri, inclusi i dialoghi con gli abitanti del paese, paiono spesso suscitare in lei una certa delusione. Non a caso anche negli ultimi giorni del viaggio, quando si trova in città, a Reykjavík, vi cerca delle risposte agli interrogativi legati a ciò che l’ha colpita in precedenza, recandosi fra l’altro a vedere filmati sui vulcani del paese o a visitare un museo di storia naturale.
L’ambiente dell’isola, con le sue distese povere di vegetazione e il suo clima rigido, parrebbe ai più assai poco accogliente, se non proprio ostile. Ma Luisella Carretta non somiglia affatto all’Islandese di Leopardi: la sua preoccupazione non è quella di fuggire la Natura, che anzi costituisce per lei una fonte inesauribile di stimoli. Lo conferma un po’ tutto il suo lavoro, e in particolare il fatto che ha dedicato moltissimo tempo ad osservare e «trascrivere» il volo degli uccelli. Ciò ha richiesto non solo le doti di un’abile disegnatrice, ma anche la pazienza infinita di chi sa rimanere immobile per ore, fino a trasformarsi per i volatili in un elemento indifferenziato del paesaggio. Le opere nate da questa serie di esperienze costituiscono uno degli aspetti più noti della multiforme attività dell’artista, documentato da varie mostre tenute in Italia all’estero, oltre che da libri e cataloghi.
È proprio perché conosceva ed apprezzava tali opere (ne aveva inserito alcune in una sezione, da lui curata, della Biennale di Venezia del 1986) che l’etologo-scrittore Giorgio Celli ha avuto l’idea di suggerire a Carretta di provare a registrare visivamente il volo delle api. La sua interlocutrice ha accolto l’invito, e si è recata dunque all’Istituto di Entomologia di Bologna, dove in un giardino sono collocati (in quanto necessari oggetti di studio) diversi alveari. Una volta trovatasi sul posto, a guardare da breve distanza il movimento delle api di fronte all’arnia (dopo aver rinunciato alla maschera protettiva, che ripara sì da eventuali punture ma limita le possibilità di osservazione), l’artista si accorge di essersi assunta un compito assai arduo. Le api che ha davanti sono numerose, piccolissime, si muovono di continuo e a sciami, compiono brusche virate e imprevedibili accelerazioni. Si tratta di particolarità ben note, ma che divengono altrettanti ostacoli per chi tenti di convertire in linee quei movimenti confusi e simultanei. Non resta dunque che scegliere di focalizzare alcuni aspetti, sforzandosi di ignorare tutto il resto.
Luisella Carretta incentra la sua attenzione sui tragitti di entrata e di uscita degli insetti dall’alveare e cerca di seguire, per difficile che ciò possa essere, una sola ape alla volta. Comincia dunque a segnare sul suo quaderno un primo tracciato, interrotto nel momento in cui l’insetto prescelto sparisce alla vista. Ripete poi l’esperienza con altre api, sovrapponendo i vari percorsi, cosa che fra l’altro le consente di capire, a poco a poco, la logica che li regola. Seguono ulteriori tentativi di registrazione grafica, in tempi e luoghi diversi: in una villa neoclassica di Bologna, dove l’arnia è stata collocata su un balcone (in questo caso l’artista ha l’idea di osservare anche dal basso il muoversi delle api presso l’alveare, sullo sfondo costituito dal cielo), oppure in aperta campagna, in giorni caldissimi d’estate, per studiare gli insetti in volo sui fiori. Si tratta di un lavoro estenuante, che può essere protratto per poco tempo e che necessita di una concentrazione totale: «Il gesto del guardare non riguarda solo gli occhi ma qualcosa di più complesso. Si può agire sulla propria mente per selezionare lo sguardo in modo che la vista, magari anche non eccellente, possa superare se stessa. Ma in realtà tutti i sensi devono coalizzarsi per raggiungere il massimo dell’attenzione». Che una simile esperienza non sia esente da rischi lo dimostra un incidente in parte prevedibile, ossia una puntura che l’artista riceve in mezzo agli occhi, e che le farà gonfiare il volto costringendola a ricorrere a cure mediche.
In volo con le api documenta questa esplorazione del mondo degli insetti attraverso le narrazioni diaristiche, le foto e soprattutto gli splendidi disegni, riprodotti in bianco e nero o a colori. In essi si scorgono le linee punteggiate che corrispondono ai percorsi seguiti dalle api, e anche accenni lievi e delicati di paesaggio, che contestualizzano le singole osservazioni. In tal modo, come ha notato Giorgio Celli, «questi tragitti acquistano a poco a poco una valenza estetica, diventano segni di sogni, si trasformano da etogrammi in pittogrammi». Ogni volta che un artista sceglie di confrontarsi col mondo naturale, infatti, può magari produrre registrazioni dotate di interesse scientifico, però la sua acribia finisce sempre col trasformarsi in poesia, ossia nell’elaborazione di tratti, forme e colori che ci offrono l’immagine di una natura non soltanto percepita e fissata, ma anche sognata.
* Testo apparso in «Zeta», 2, 2001.
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