
di Marco Furia
Nel 1867, Frederic Edwin Church dipinse Cascate del Niagara*.
In un ampio quadro, sotto una sottile striscia di cielo, cade un’imponente massa d’acqua tra aspre rocce dirupate.
Nubi di gocce sospese, vapori e particolari effetti luminosi conferiscono al dipinto un grande fascino.
Una maestosa natura incontaminata si presenta al nostro sguardo e noi non possiamo fare a meno di ammirarla.
Ci sentiamo, nello stesso tempo, attratti e respinti.
Osserviamo con meraviglia quello straordinario spettacolo, ma per nulla al mondo vorremmo trovarci tra quelle acque.
L’artista ha saputo creare un’immagine tale da produrre in noi intense sensazioni: l’individuo umano, assente nel dipinto, è presente come vivida interiorità.
Dipingere l’emozione è impresa ardua: Church ha (felicemente) scelto la strada di farla emergere negli stessi osservatori della sua opera.
Quell’immane quantità d’acqua cade e provoca una viva percezione.
Siamo al cospetto di una sorta di realismo emotivo, ossia di suggestivi lineamenti che riescono a penetrare, con immediatezza, dentro di noi suscitando, contemporaneamente, sorpresa, interesse e timore.
Il nostro punto di osservazione non è al sicuro perché è fuori dal quadro, ma perché è il luogo in cui l’artista ci ha collocato per consentirci di godere la vista dello scenario senza correre rischi.
Quell’immagine, frutto del lavoro di un grande pittore, vive una vita propria in grado di attirarci, di chiamarci.
L’uomo è piccolo nei confronti della natura, ma possiede la capacità di osservare, di provare sensazioni e di comunicarle ai suoi simili.
Scopriamo in noi, nell’ammirare lo spettacolo delle cascate, qualcosa di atavico che ci collega a tempi remotissimi: anche se immaginiamo di essere protetti da ampie mantelle impermeabili e di stringere con la mano una robusta ringhiera, un intimo quid pare attraversare secoli e millenni per raggiungere i nostri più lontani antenati.
Il corso della storia sembra ridotto a nulla, poiché avvertiamo che sensazioni, emozioni e sentimenti ci uniscono a chi è vissuto sul pianeta Terra molto prima di noi.
Si tratta dell’improvviso illuminarsi di vividi lineamenti della coscienza, dell’emergere di un senso dell’esserci tale da superare ogni confine.
Forse i nostri modelli di spazio e di tempo sono erronei?
Non direi.
Siffatti modelli sono efficaci: semplicemente, scopriamo di poter abitare territori interiori a essi non assimilabili.
La migliore conoscenza del mondo e di noi stessi è raggiungibile soltanto percorrendo la via di una feconda meraviglia che sappia unire l’aspetto intellettivo a quello emozionale.
Conoscere, insomma, non è un’attività rigidamente separata, bensì è parte integrante di ciò che siamo, è specifico, non disgiunto, modo d’essere.
Non ci siamo noi e la conoscenza, ma noi coscienti: è sufficiente osservare il dipinto di Church per accorgersene.
*Frederic Edwin Church, Cascate del Niagara, 1867, olio su tela, National Gallery, Edimburgo, Gran Bretagna.